Volare è amare: Claudio Baglioni e il suo Piano di Volo
- Davide Panunzi
- 9 apr
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Domenica 6 Aprile 2025, al Gran Teatro di Brescia, ho potuto assistere all’ultima danza musicale di Claudio Baglioni, durata poco più di tre ore. È, ormai, la terza volta – con il suo Piano di volo tris – che ci incontriamo nel luogo più intimo rispetto al Foro Italico di Roma, alle Terme di Caracalla o in qualche stadio.

Nella scorsa esibizione si è fermato a parlare (a fare digressioni, come direbbe lui) riguardo al concetto di tempo, nella realizzazione del suo scorrere inesorabilmente in avanti, provando a batterlo a tempo di musica in senso antiorario, spiegandoci il significato della differenza tra i tre diversi tipi di pianoforti: quello tradizionale ad indicare il passato, quello elettrico ad indicare il presente e, infine, quello digitale ad indicare il futuro.
In questo appuntamento teatrale esclusivo, con un gesto al giorno d’oggi quasi rivoluzionario, Baglioni ci ha parlato dell’Amore che, scandito nel tempo, è destinato a vivere tutte e quattro le stagioni: la fioritura della primavera che sboccia e diventa quella leggerezza di una carezza del vento d’estate, di quelle onde del mare che riflettono la luce del sole e che lasciano, pian piano, lo spazio alle giornate più brevi, alla malinconia dell’autunno e delle foglie che cadono fino a giungere agli inverni del cuore, dove la pioggia non è più così romantica e il freddo ci rende inevitabilmente più distanti, più soli.
«Volare» e «Amare» sono due verbi che al loro interno hanno dei movimenti molto simili: camminare volando con le ali dell’amore provoca il rischio di cadere e di godere, allo stesso tempo, di un orizzonte lontano in cui sognare il mare (un elemento molto ricorrente nella letteratura baglioniana), così da riuscire a vederlo anche dove apparentemente non esiste (come a Brescia, appunto), camminando attorno a quelle vie che si riempiono di schiene e di storie di vita vissuta. Perché, in fondo, vivere vuol dire amare e amare vuol dire vivere.
Claudio Baglioni ci ha lasciato, alla fine della sua performance, un monito importante: quello di non fossilizzarci troppo ad osservare solo ciò che è brutto e negativo ma di imparare a guardare anche le cose belle e a farle nostre, di guardare allo specchio non soltanto il nostro viso ma anche la nostra schiena e vedere quelle due ali piccole che possono permetterci di volare e di vedere dall’alto la vita, quel volo d’amore che solo pian piano si riesce ad imparare. Perché soltanto l’amore muove il mondo, soltanto l’amore muove la nostra vita.
È nel nome dell’amore, dunque, che Baglioni rievoca i ricordi di tour passati (il Tour Rosso, il Tour Giallo e il Tour Blu di fine anni Novanta e inizi anni Duemila) e, compiendo questa volta il giro dei pianoforti in senso orario, nella consapevolezza del tempo che fugge inevitabilmente.
Io faccio ancora personalmente fatica a rimanere su una barca che affonda, ad affidarmi al destino fino alla fine. Perché ogni cosa ha una fine, anche quella più bella. E nella controvoglia di assistere all’uscita di scena, io ho maturato nelle tre ore di concerto, la certezza che, quando arriverà l’ora, so che da lui lei non uscirà. Perché è spettacolo puro, senza limite di tempo, anche alla sua età.
Grazie Claudio per illuminare ancora la mia vita e per avermi insegnato, ancora una volta, ad amare.