/ma·lin·co·nì·a/
Stato d’animo di vaga tristezza, spesso alimentato dall’indugio rassegnato o addirittura compiaciuto, nell’ambito di sentimenti di inquietudine o delusione.
Senza alcun valore sentimentale, motivo di deprimente monotonia.
Stato d’animo di sconsolato e pessimistico abbandono.
La più generica definizione del termine «malinconia», digitando su Google, è questa ma questo stato d’animo è, sin dai tempi antichi, un’esperienza fondamentale insita nell’uomo.
Nella medicina di Ippocrate, infatti, la malinconia era uno di questi quattro umori – l’umor nero – che costituiscono l’organismo umano e ne determinano l’equilibrio organico. Il termine malinconia stesso ne richiama il senso: deriva dal greco mélas, mélanos ovvero «nero» e cholé, «bile».
La «bile nera» era, appunto, la causa di un diverso temperamento: il lato malinconico è, dice Victor Hugo, «la gioia di sentirsi tristi». È quel senso di inquietudine, di isolamento, quel «chiuso per lutto» emotivo che ci allontana temporaneamente dalla società.
Nella storia della letteratura e della filosofia è stato il leitmotiv di molte riflessioni fino a cambiare significato nel corso del tempo.
In Friedrich Wilhelm Schelling, ad esempio, la malinconia è associata alla morte, che viene vista come elemento fondamentale della nostra esistenza. Per Schelling, la malinconia ha una visione duplice: è l’anticamera della depressione, quella molla che spinge verso il basso e al contempo verso l’alto perché ci aiuta a costruire noi stessi: è un mal di vivere distruttivo e costruttivo. E in relazione alla morte, vede la malinconia come una componente che fa parte dell’uomo e che aiuta alla consapevolezza della morte, come elemento che definisce la vita stessa: tutto è costruito nell’ottica della morte. Nel linguaggio moderno, dunque, la malinconia è il campanello d’allarme della depressione. È quella sensazione di malessere che percepiamo nel quotidiano, una tristezza non dolorosa che non ti porta a raggiungere la felicità. La malinconia è un pensiero incline alla tristezza che entra nell’intimo contatto con il cuore: è l’anima che affronta i pensieri emotivi.
La malinconia è la base della poesia romantica italiana, soprattutto di Giacomo Leopardi che, come sottolinea nei suoi scritti autobiografici, la considera in modo duplice: da una parte è causata dall’eccesso di civiltà, dall’altra è amica della verità. Ed è così anche in autori contemporanei della letteratura giapponese: Banana Yoshimoto sviluppa molte delle sue vicende nel segno di una malinconia «amica della verità», in grado di arrivare al profondo del cuore, dell’esistenza.
La malinconia è uno stato d’animo toccante. Ed è la separazione verso qualcuno, verso qualcosa; è il desiderio di avere qualcosa che non si ha avuto mai.
«Metti che un giorno all’improvviso per strada,
ti chiedi se è soltanto questa la vita,
parli una lingua che per gli altri è sbagliata,
anche restando a cento metri da casa».
La malinconia viene cantata da Riccardo Fogli, come sentimento di incomprensione esistenziale: persone che parlano la stessa lingua non sono in grado di comprendermi; la malinconia è il senso di incompiutezza verso un universo troppo grande per esseri così piccoli ed apparentemente inutili.
È un cielo nuvoloso che rende grigie le nostre esistenze; è una coperta che ripara dal freddo degli inverni del cuore. È il ricordo di un amore adolescenziale non concretizzato per l’eternità, come in Norwegian Wood di Murakami Haruki.
La malinconia è uno dei temperamenti che compone l’uomo e che è necessario vivere per poter essere realmente se stessi. È importante la malinconia perché ci rende più consapevoli, è il momento negativo necessario per raggiungere una piena positività.