La libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione
- Maddalena Pareti
- 2 giorni fa
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Il 22 aprile il Consiglio dei Ministri ha proclamato cinque giorni di lutto nazionale per la morte di Papa Francesco, un periodo di cordoglio che si concluderà il giorno del suo funerale, previsto per sabato 26 aprile.

Le giornate di lutto nazionale vengono indette dal Governo italiano in risposta a eventi di straordinario impatto emotivo e sociale per il Paese, come la scomparsa di personalità pubbliche di grande rilievo, catastrofi naturali devastanti o incidenti particolarmente gravi che provocano numerose vittime. Durante questo periodo, le bandiere sugli edifici pubblici, comprese le rappresentanze diplomatiche all’estero, vengono esposte a mezz’asta in segno di rispetto, mentre quelle interne sono adornate con due strisce di velo nero, simbolo tradizionale di lutto. Gli esponenti del Governo, inoltre, sono tenuti a cancellare tutti gli impegni pubblici, ad eccezione di appuntamenti legati a iniziative di beneficenza o raccolte fondi.
I cinque giorni di lutto previsti rappresentano un lasso di tempo del tutto eccezionale nella memoria storica della Repubblica Italiana, un unicum rispetto alle consuetudini del passato. Per fare un confronto, in occasione della morte di Papa Giovanni Paolo II, avvenuta il 2 aprile del 2005, e di Papa Paolo VI, deceduto il 6 agosto del 1978, il Governo italiano aveva stabilito tre giorni di lutto nazionale, una durata considerata adeguata per commemorare figure di tale statura spirituale e internazionale. Sebbene alcuni membri dell’esecutivo avessero proposto di mantenere la stessa durata di tre giorni, in conformità ai precedenti storici per i predecessori del Santo Padre, la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha deciso di seguire una linea diversa, optando per un periodo più esteso, una scelta che rende questo momento unico nella storia recente dell’Italia repubblicana.
Questa decisione, tuttavia, ha suscitato numerose polemiche, poiché i cinque giorni di lutto nazionale includono il 25 aprile, data della Festa della Liberazione, una ricorrenza profondamente simbolica per la nazione italiana, durante la quale si commemora la liberazione dell’Italia dal regime nazifascista, un traguardo raggiunto grazie all’intervento decisivo degli Alleati e al coraggio eroico delle truppe partigiane. La coincidenza tra il lutto nazionale e questa data cruciale ha generato un acceso dibattito pubblico e politico, con molte voci che hanno espresso preoccupazione per il possibile impatto sulla celebrazione di una ricorrenza fondamentale.
In un comunicato stampa ufficiale, il Consiglio dei Ministri ha invitato tutte le manifestazioni pubbliche a svolgersi in modo sobrio e consono alla circostanza, senza fare apertamente riferimento alla Festa della Liberazione, una scelta che ha alimentato ulteriori discussioni.
A chiarire la posizione del Governo è intervenuto il Ministro per la Protezione Civile e le Politiche del Mare, Nello Musumeci, il quale ha dichiarato: «Tutte le cerimonie sono naturalmente consentite, purché tengano conto del contesto di lutto nazionale e adottino la sobrietà che la circostanza impone a ciascuno di noi». Questa precisazione, però, non ha placato le critiche, che si sono concentrate non solo sulla richiesta di sobrietà, ma anche sul significato politico della decisione in un momento così delicato.
Le polemiche si sono ulteriormente intensificate per via della posizione della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, un partito che si qualifica come di destra nazionale e che poggia le sue radici storiche dal Movimento Sociale Italiano, fondato da ex esponenti della Repubblica Sociale Italiana, il regime collaborazionista fascista durante la Seconda Guerra Mondiale. Negli anni, Meloni ha adottato un atteggiamento cauto nei confronti del 25 aprile, una postura che ha spesso suscitato dibattiti sulla sua visione della ricorrenza e sul ruolo della Resistenza nella storia italiana.
L’invito del Governo alla sobrietà ha provocato reazioni particolarmente decise da parte degli esponenti della sinistra. Pier Luigi Bersani, noto membro del Partito Democratico ed ex segretario nazionale del partito, ha replicato durante la trasmissione Dimartedì: «Il Ministro Musumeci ha richiesto sobrietà nelle cerimonie per la Festa della Liberazione del 25 aprile? Questa cosa la trovo assolutamente paradossale. Intanto, vorrei tranquillizzare il Governo: dalle manifestazioni del 25 aprile, Papa Francesco riceverà solo lacrime di cordoglio e applausi di stima». Al dibattito si è unito anche Nicola Fratoianni, leader di Alleanza Verdi e Sinistra, che ha espresso una critica ancora più aspra: «C’è poco da fare: è più forte di loro, anche stavolta un’allergia alla liberazione dal fascismo e dal nazismo traspare da chi in questo momento occupa Palazzo Chigi. Non trovo altra spiegazione alle parole strampalate sulla sobrietà con cui celebrare il 25 aprile».
Indipendentemente dalla morte di Papa Francesco, gli scontri politici e ideologici riguardo il 25 aprile sono sempre stati oggetto di attenzione mediatica e hanno spesso rivelato una certa difficoltà da parte dei rappresentanti politici italiani a trovare un terreno comune. L’incapacità di riuscire a essere uniti in una data che porta con sé il dramma umano della Resistenza, fatta di sacrifici, lotte e ideali di libertà, significa non disporre degli strumenti adeguati per affrontare il presente, non solo dal punto di vista sociale, ma anche culturale e politico, poiché una nazione poggia le sue fondamenta sulla consapevolezza della propria storia. Se ci fosse la stessa intensità di dialogo e confronto per il 2 giugno, ossia la Festa della Repubblica Italiana, in cui si ricordano gli italiani che votarono – un’azione su cui si fondano le democrazie moderne – e decisero per l’istituzione di una Repubblica, i cittadini non assisterebbero più a politici che rilasciano dichiarazioni prevalentemente retoriche, senza assumersi pienamente le responsabilità di aver contribuito a polarizzare il dibattito pubblico, con conseguenze significative per la coesione della nazione.
Il 25 e il 26 aprile del 2025 sono due date della storia che si incontrano, non necessariamente destinate a rimanere separate, ma piuttosto collegate da un processo temporale che vede intrecciarsi il passato e il presente. Se adeguatamente compresi, questi momenti possono porre le basi per prepararsi a un futuro più consapevole e unito. In questo contesto, la figura di Papa Francesco si presenta come un simbolo politico di straordinaria rilevanza: un Pontefice che ha rappresentato un tentativo di progresso all’interno di un’istituzione, la Chiesa cattolica, che per millenni ha plasmato la storia non solo dell’Italia, ma del mondo. Tale influenza è testimoniata, ad esempio, dall’articolo 1 dello Statuto Albertino – la costituzione del Regno d’Italia, in vigore fino al 1948 – che recita: «La Religione Cattolica, Apostolica e Romana è la sola Religione dello Stato. Gli altri culti ora esistenti sono tollerati conformemente alle leggi».
Il pontificato di Bergoglio è stato caratterizzato da gesti inediti e significativi, che hanno segnato una svolta nella storia della Chiesa. Nel 2013, durante il rito pasquale della lavanda dei piedi, Papa Francesco lavò i piedi a due donne, rompendo con una tradizione consolidata e suscitando dibattito. Inoltre, abolì il segreto pontificio nei casi di violenza sessuale e abuso sui minori commessi da chierici, un passo cruciale verso la trasparenza e la giustizia. Nel 2014, durante la visita al sacrario di Redipuglia, il più grande cimitero militare italiano, il Pontefice incominciò a utilizzare l’espressione «terza guerra mondiale a pezzi», facendo riferimento a una situazione internazionale frammentata e incandescente, segnata da conflitti come l’occupazione della Crimea da parte della Russia, l’inasprirsi della guerra civile in Siria e lo scoppio delle violenze in Yemen, con la conquista della capitale Sana’a da parte degli Houthi.
La sobrietà richiesta dal Governo e respinta con veemenza dalle opposizioni dimostra che in Italia manca ancora la capacità di rimanere uniti nei momenti più rilevanti della storia nazionale. Con la morte di Papa Francesco, scompare una figura umana, contraddittoria, ma profondamente politica, capace di dimostrare una sensibilità storica che sembra mancare agli attuali leader politici, i quali appaiono spesso distanti da un dialogo costruttivo, se non indifferenti alle lezioni del passato.