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Immagine del redattoreDavide Panunzi

La filosofia non ha generi ma educa al genere

La filosofia non ha genere. Eppure ha sempre vissuto nelle condizioni storiche che ha vissuto: nell’aspetto critico che la contraddistingue e dalla sua presenza nella scena sociale e politica del mondo, la filosofia non ha avuto nella sua storia protagoniste femminili centrali, ma solo brevi, brevissime comparse. È il tassello principale nella costruzione della società e ha condiviso, dunque, la subordinazione femminile, elemento essenziale della società stessa.

Aspasia Conversing with Socrates and Alcibiades - Nicolas-André Monsiau (1754–1837) -

È, dunque, stata una filosofia senza donne. E si fa presto a capire il perché: la filosofia ha, di fatto, chiuso le porte d’accesso alle donne in quanto considerate non dotate di razionalità e incapaci di generare pensiero critico; o addirittura economicamente subordinate, proprietà prive di proprietà, relegata al ruolo domestico, passive da un punto di vista sessuale, sociale e politico. Pensatori grandi e piccoli hanno affrontato il problema di genere - Platone, Sant'Agostino, Kant - e quasi sempre l'elemento femminile ne è uscito svilito. Aristotele, per esempio, uno dei più grandi filosofi dell’età antica, riteneva le donne manchevoli di qualità, con un difetto naturale dal punto di vista biologico.


La filosofia pone sempre domande al neutro, in quanto si interroga nel campo dell’astratto: questioni che riguardano la teoria della conoscenza, l’etica, la politica tracciano di solito il profilo di un soggetto che dovrebbe rappresentare le caratteristiche di ogni essere umano, e in quanto tale non maschile né femminile. Eppure chi ha affrontato questi quesiti sono state, da sempre, persone di una ristretta cerchia sociale, per lo più maschia, bianca, eterosessuale cisgender che ha godoto di un certo benessere economico, per cui è stato inevitabile che il punto di partenza abbia escluso chi da questa cerchia non ne facesse parte.

La sfida della società del nostro tempo è educare al genere, attraverso gli strumenti che possediamo. Il primo di questi è la filosofia

La sfida della società odierna è proprio questa: educare al genere, attraverso gli strumenti, ormai tanti, che ha a disposizione. Il primo di questi è la filosofia. Per questo, ripartendo dalla sua storia, dai grandi pensatori fino al recupero della “filosofia di serie B”, ovvero di quelle domande che, nella storia, sono state poste e mai affrontate, di tutto quel resto che è stato bollato come frivolo, irrilevante, secondario, e riconquistando il punto di vista di quelle filosofe trascurate e rese subordinate, la filosofia deve arrivare a interrogarsi e, infine, a educare al genere la società, nella quale difendere la prospettiva femminile, al femminile.


La «questione di genere» rientra nelle problematiche e nelle argomentazioni politiche e sociali. La differenza di genere è un tema antropologico, riguarda l’essere umano. Rientra, anche e soprattutto, nella filosofia del linguaggio, nel chiedersi perché domande astratte, rivolte al neutro, nella lingua italiana, siano state rese al maschile. Perché, per esempio, la stessa espressione «uomini» può riferirsi agli esseri umani di sesso maschile e invariabilmente anche all’umanità intera? Chiedersi: quali sono state le responsabilità della filosofia?

Alcune figure di filosofe. In ordine: Ipazia, Harriet Taylor Mill, Mary Astell (Joseph003 - CC BY-SA 4.0), Mary Wollstonecraft (John Williamson), María Zambrano, Simone de Beauvoir (Moshe Milner - CC BY-SA 3.0)

Solo così, la filosofia sarà capace di fornire risorse per educare al genere, attraverso una didattica coraggiosa nelle scuole, ma anche rimodulando una dialettica rivolta agli adulti, alla politica, al giornalismo, soprattutto nel suo utilizzo di una fraseologia che tradisce una certa cultura patriarcale e nel diffondere notizie false e diseducative nei confronti di un tema così delicato. E ancora chiedersi: qual è la differenza tra sesso e genere?

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