Fine agosto 2024, Puglia. È meta mattina e la temperatura al suolo è di 36 gradi, percepiti probabilmente i gradi sono 63. Passaggio dall’aeroporto di Bari. Carico e scarico di amici in visita. E subito in partenza in direzione Taranto, con il suo incomparabile mare. Non c’è un Aeroporto passeggeri a Taranto, i treni arrivano a singhiozzo, non abbiamo neanche una stazione bus, né un terminal passeggeri al porto, degni di questo nome (ma questa semmai sarà materia di un altro articolo). A Taranto però c’è un mare di una bellezza con pochi paragoni.
Prima di raggiungere lo Jonio, si decide per una sosta a Polignano a Mare: dopo tutto un affaccio sul blu dipinto di blu, sorseggiando il caffè speciale polignanese, fa parte del rituale cult per una vacanza pugliese.
Ma cos’è Polignano? Proprio come la sua radice “poli”, la città è tante cose. A quanti l’hanno visitata solo di recente, appare il simbolo della Puglia che ce l’ha fatta: un boutique hotel a cielo aperto, bianco come il codice Pantone che “fa tanto Puglia”, alla faccia del vecchio storico slogan regionale che qualche nostalgico come me ricorda: “la Puglia è colore”.
Polignano ora è un non-luogo, un concetto che in urbanistica lo si associa a quei luoghi che hanno senso in quanto transito e che acquistano senso in funzione di chi ne usufruisce e dello scopo che hanno, più che al proprio significato intrinseco. È il simbolo della materializzazione di una serie di foto social, una frazione di secondi che separa un reel da un altro nel continuo flusso di immagini di cui i nostri occhi voraci si nutrono attraverso gli smartphone; è il “been there done that” delle vacanze trendy di un pubblico usufruitore sempre più giovane ed internazionale del turismo da selfie di massa. Polignano sono le masserie shabby chic da oltre 500 euro a notte, che è più del prezzo di affitto mensile di un appartamento per una famiglia locale.
Ma prima di diventare un non-luogo, Polignano era un luogo. Era un borgo di pesca e agricoltura pittoresco come pochi, con le sue falesie ed i suoi balconi trai il blu del Cielo e del mare. Era poco rilevante dal punto di vista storico architettonico, ma era unico per la sua sintesi perfetta tra uomo e natura, tra campagne fertili, ultimi trulli tra distese di ulivi, affacciati sul mare.
Ma perché uso il passato? La felice invasione turistica non ne ha cambiato la morfologia, ma ne ha stravolto la fruizione. Passeggiando (se così si può dire) sotto al sole, con una nipote in braccio e cercando di mantenere una dignità pur sudando anche dalle palpebre, mi sono imbattuto in un gruppo di signore francesi che come me, sconsolate, osservavano quel che restava della spiaggetta: la distesa di ciottoli era coperta da un technicolor di costumi, asciugamani, corpi che lasciavano solo sospettare che sotto di essi vi fosse, probabilmente una spiaggia.
“Certo che è davvero pieno oggi qui, ma come si fa a pensare di fare il bagno. Mi dispiace per loro che forse non sanno che la Puglia non è solo questa spiaggia” faccio io alle turiste d’oltralpe.
“Ah bah non, c’est vrai, en effet ils doivent aller se baigner à San Vito (ah sì è vero, dovrebbero andare a fare il bagno a San Vito)” mi risponde una di loro, lasciandomi hopeless, visto che San Vito è un lido a pochi minuti da Polignano, in cui noi eravamo passati una mezz’ora prima e siam scappati via per la troppa calca.
Tu chiamalo, se vuoi, overtourism. È stata la prima volta che ho pensato come dei posti turistici che ho visitato, come Venezia, Colmar, Dubrovnik, o posti in cui ci ho anche vissuto, come Roma e la sua Trastevere, non sono luoghi che son sempre stati come li vediamo noi oggi, in passato non erano turistifici, non erano non-luoghi, ma erano luoghi!
Ho sempre pensato, e continuo a pensare, che il turismo sia un arricchimento ed una forma di scambio di conoscenze. Nella nostra società post-materialista le esperienze si fanno prioritarie rispetto al possesso. In taluni contesti poi, come i piccoli borghi italiani, del sud in particolare, il turismo è uno degli elementi per combattere spopolamento, rallentare la depauperazione economica, per riscattare la centralità foss’anche in maniera effimera per poche settimane all’anno, di periferie dello spazio e dello spirito.
Ed in questo senso ho sviluppato una forma evidente di cecità selettiva che mi ha sempre portato a vedere come positiva “in ogni caso” la crescita dei flussi turistici.
Sì ok, ho letto di Barcellona e delle manifestazioni contro i turisti, di Lisbona (e presto Napoli) e del disastro della gentrificazione dei quartieri popolari che ora sono ad appannaggio esclusivo di popolazione benestante ed alto-spendente, ho letto che nelle Canarie ogni turista consuma giornalmente fino a 6 volte all’acqua consumata da un local, e stiamo parlando di oltre 14 milioni di turisti stranieri nel solo 2023 (comparati ai soli 2.2 milioni di residenti). So che Amsterdam sta cacciando i turisti a basso costo, attratti da canne e quartieri a luci rosse, per ricostruirsi una verginità mediatica.
Ma chissà perché’ ho sempre pensato che il turismo fosse intrinsecamente associato ai concetti di progresso, ricchezza, cultura. E invece scopri che, sempre per citare la Spagna, alle Canarie oltre il 34% della popolazione residente è a rischio povertà, che le acque sono sempre più inquinate da liquami e dagli scarichi delle imbarcazioni turistiche che invadono l’isola come locuste. Scopri che le Maldive hanno un’isola “dedicata” totalmente a discarica, che Miami spende centinaia di milioni di dollari all’anno per ripascere le dune costiere continuamente erose dall’effetto combinato dell’aver cementificato fino quasi al bagnasciuga, e dell’innalzamento del mar dei Caraibi.
Sotto il sole pugliese di questa estate rovente mi son domandato infine, cosa vogliono i turisti? Andare in viaggio per vedere i luoghi o pagare per viaggiare per vedere altre persone che vedono cose?
Il turismo è forse come il cibo: è la gioia più grande possibile, ma è la dose che ne fa il veleno. È un fenomeno che dovrebbe portare emancipazione, inclusione, scambio, e non segregazione, esclusione, e concentrazione.
Ho ripensato in generale all’Italia, ed a come si debba essere discreti nel rispettare i luoghi che si visitano perché Venezia non è un luna park.
Mentre lasciavo Polignano alle spalle osservavo la Puglia, anzi le Puglie, perché’ mai come per il turismo, la regione viaggia a velocità molto diverse. Esistono luoghi che non esistono più, proprio come la vecchia Polignano, e poi esistono luoghi che ancora (r)esistono al turismo di massa, come Taranto. Ma chissà per quanto ancora, visti i 6-10mila crocieristi a settimana che sbarcano o si imbarcano da un terminal crociere che ancora non c’è.
Il turismo potrebbe aiutare questo come molti altri luoghi del meridione, ad uscire dal cono d’ombra mediatico; la provincia jonica racchiude quattro anime del tacco d’Italia: le murge e gravine, la valle d’Itria ed il Salento e la Magna Grecia, eppure è ancora anni luce lontana dagli effetti di una turistificazione massiccia.
“L’antidoto per la riconversione industriale è il turismo.” Molti, me compreso, lo pensano, ma poi mentre distendo il mio asciugamano sulla spiaggia di San Vito (la frazione di Taranto, non quella di Polignano), penso ai chilometri di spiagge libere, alla fortuna di poter ancora gustare la calma in pieno agosto, ai ristoranti che costano la metà e ai centri storici che sono ancora passeggiabili, e spero che la maggior visibilità turistica non sia come quando la cura è peggio del male.