Il rapporto Draghi sul futuro della competitività europea è stato appena pubblicato. Nonostante l’accoglienza calorosa di Von der Leyen il rapporto appare come un prevedibile manuale del capitalismo novecentesco. Per capirlo analizziamone le parole: “democracy” e “redistribution” compaiono una sola volta, mentre “capital” compare 148 volte e “unicorn” ben 6. Per capirci unicorn sono quelle start-up che nel giro di pochi anni diventano aziende multimilionarie. A prevalere nel report sono le competizioni muscolari tra USA, Cina ed UE e come questa debba cercare di fronteggiare le sfide del suo declinante ruolo economico (e di conseguenza politico) nel Mondo.
Alcune delle intenzioni di Draghi appaiono nobili: per rendere l’UE più competitiva va accantonato il principio di unanimità e il ricorso a maggioranze qualificate su decisioni strategiche. L’Europa che Draghi immagina dovrebbe agire coordinando e convogliando investimenti, regole di mercato, tassazione in maniera sovranazionale e questo di per sé è un aspetto positivo.
Il report risponde bene su come condividere il mercato energetico, la difesa comune, le comunicazioni. Il punto non è tanto quanto si decide di spendere per la difesa, ma il capire: difendersi da cosa? Dalla prosecuzione dell’imperialismo delle aziende europee in Africa e Medio Oriente, meglio di no grazie.
800 miliardi di euro per le politiche economiche sono soldi al vento se non si investe adeguatamente in politiche di coesione. Pensiamo per un attimo all’Italia: non siamo in grado di attuare una legge sui lidi balneari, né siamo in grado di allargare le concessioni ai taxi, perché le corporazioni italiane, in concerto col governo euroscettico, bloccano le direttive UE anche in presenza di dispendiose procedure di infrazione. Non riusciamo a convincere i pescatori a fare il fermo biologico delle barche perché il mare ha esaurito le riserve ittiche, e non perché l’Europa sia matrigna. E Draghi pensa di trovate 800miliardi per decidere "tutti insieme" gli investimenti vitali per l'UE? Utopia.
Il problema non è affatto solo italiano, visto che tutte le tornate elettorali dalla Brexit in poi hanno mostrato, in maniera paurosamente trasversale tra paesi, che i cittadini, quando va bene hanno premiato l’euroscetticismo, quando va male direttamente il fascismo. Le ragioni sonno presto intuibili: arricchimento a vantaggio di pochi a discapito delle classi medie, disinnamoramento degli ideali fondativi dell’Unione. Bisogna non solo investire sulle variabili economiche ma anche sul far maturare nei cittadini un maggior senso di corresponsabilità.
È indubbio che si debba uscire dai veti infiniti ma serve far tornare le persone a rinnamorarsi dell’UE altrimenti sarà sempre più vissuta come una imposizione. Si prevede che le spese comunitarie passino dall’1.2% al 5% del pil europeo, ma nessuno darebbe mai un centesimo per qualcosa in cui non crede e di cui diffida; non sta in piedi nulla senza coesione.