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Immagine del redattoreDavide Panunzi

Il fine giustifica i mezzi: Stephen King e l’Istituto

Tra le migliaia di citazioni Tumblr attribuite in maniera casuale a filosofi e uomini e donne di letteratura, ce n’è una che è particolarmente diffusa, anche in ambienti accademici: «il fine giustifica i mezzi». Questa affermazione, entrata nel nostro gergo comune, è attribuita a Niccolò Machiavelli, in modo però errato perché non è mai stata scritta da lui. Nonostante questo, il filone principale de L’istituto di Stephen King sembra essere proprio questo modo di dire: sacrificare la singola persona, la singola identità per un bene maggiore, ovvero il bene collettivo.


Tim Jamieson è un ex poliziotto, con un divorzio da affrontare e una vita da reinventare. Per una serie di fortunati eventi, riesce a trovare lavoro come guardia notturna in una cittadina fittizia della Carolina del Sud chiamata Du Pray, al servizio dello sceriffo. Nel frattempo, Luke Ellis, un ragazzo di dodici anni, con un quoziente intellettivo e una cultura talmente fuori dal comune da superare addirittura il test del MIT (Mental Imagery Test), e con dei poteri extrasensoriali, viene monitorato da una struttura segreta chiamata “L’Istituto”.

Una notte, un comando di ex militari, entrano in casa di Luke di soprassalto. Uccidono i suoi genitori e anestetizzano il ragazzo per portarlo in una stanza simile alla sua, senza finestre. Dopo poco tempo si accorge di essere stato portato in un posto con ragazzi simili a lui, con poteri speciali: la telecinesi (TK) e la telepatia (TP). Scopre, inoltre, di essere stato arruolato dallo Stato per un fine ben preciso: salvare il genere umano. Nella Prima Casa in cui vivono, subiscono esperimenti extrasensoriali volti a stimolare, fino allo stremo, le loro capacità. Nel tempo libero, invece, possono giocare all’aperto o tra i corridoi, con una sola regola: rispettare le regole. Chi si ribellava veniva punito con umiliazioni e torture.

La Seconda Casa, per Kalisha, una ragazza conosciuta da Luke, è il «motel di un film dell’orrore»: qui gli esperimenti sono talmente disturbanti da avere ronzii continui e forti mal di testa.


Luke, grazie a un PC e all’aiuto prezioso di Maureen, la donna delle pulizie, viene a scoprire dell’omicidio dei suoi genitori e del sospetto che la polizia ha nei suoi confronti. Per questo, mentre i suoi amici vengono trasferiti, Luke, grazie sempre all’aiuto di Maureen, riesce a scappare (per la prima volta nella storia dell’Istituto), tagliando il GPS che gli era stato impiantato nel lobo dell’orecchio destro.


Tra le inadempienze degli uomini di guardia dell’Istituto, Luke raggiunge la cittadina di Du Pray, dove incontra Tim Jamieson e colleghi, ai quali consegna una chiavetta USB, con all’interno la confessione di Maureen. Il mondo non può sapere che il genere umano si regge su bambini con capacità extrasensoriali, per questo l’Istituto inizia la caccia al bambino. Ma le capacità dei ragazzi, volti a rivendicarsi, gli si ritorcono contro: anche all’interno dell’Istituto i bambini iniziano a ribellarsi. Vengono uccisi quasi tutti e gli amici di Luke vengono restituiti alle famiglie, tranne Luke stesso che decide di restare insieme a Tim e alla sua compagna.


«Il fine giustifica i mezzi» nudo e crudo.


Stressare un individuo fino allo stremo per un bene superiore, per un bene comune. È la dottrina utilitaristica, quella in cui la scelta morale corretta è quella che realizza il benessere del maggior numero di persone, portando così al “fine”, che è quello di salvare miliardi di vite, che “giustifica i mezzi”, che è il rapire i bambini per testare le loro capacità extrasensoriali.


Le autorità non hanno un cuore tale da pensare al fatto che davanti ai loro occhi hanno dei bambini e che, dunque, quel principio utilitarista può non essere giusto. Non importa se serve per salvare gli altri? È questo, forse, il lato oscuro della specie umana, una specie controversa e contraddittoria. Non è forse quello che viviamo al giorno d’oggi, in quella striscia di terra chiamata Gaza, dove il nome di un Dio viene macchiato per giustificare l’orrore di un genocidio di bambini? O in Ucraina, dove per interessi nazionali, stanno morendo civili proprio come noi lettori de L’Istituto?

Stephen King - 2011 - Stephanie Lawton, CC BY 2.0, via Wikimedia Commons

Non vi girano un po’ le scatole a vedere che nel nome di un “fine” si raggiunge la possibilità di utilizzare i “mezzi” più deprecabili?


L’Istituto di Stephen King ci fa riflettere sul modo di agire umano nella collettività; ci rende “complottisti” perché pensare al mondo come un grande Istituto che vuole monitorare tutti per essere usati come mezzi in vista di un fine, non è poi così sbagliato. Insomma, Stephen King, con il suo conosciuto e strepitoso talento, ci riporta a ciò che siamo, al nostro limite, insito nella nostra natura di esseri umani.


Lunga vita al Re!

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