È già accaduto in Medio Oriente: ebrei, cristiani e musulmani hanno vissuto insieme, è nel dna della regione. Lo dice la storia: sono stati molto più lunghi i periodi di coesistenza che quelli di conflitto.
Lo stato democratico è ancora possibile? È un dubbio comprensibile. Ma guardiamo alla storia, agli ex colonialismi, agli Stati uniti dopo la guerra civile. L'umanità è capace di adattarsi anche dopo un anno orribile come questo. È l'unica alternativa di salvezza a quella che nella guerra fredda chiamavano la distruzione mutua assicurata. La società palestinese, nonostante tutto, non vuole vendetta ma solo vivere una vita normale. In una tale realtà, in una Palestina post-apartheid molti ebrei israeliani non vorranno vivere senza privilegi e se ne andranno. Molti altri la troveranno una soluzione vincente per entrambi.
La leadership palestinese, come movimento, è in grande crisi. La risposta non giungerà dall'attuale generazione ma dalla prossima: i giovani sono molto più uniti e in grado di definire una nuova sinistra. Il problema è che credono poco nell'organizzazione, lo abbiamo visto anche con le primavere arabe. Va aggiunto poi un elemento: la sinistra nel mondo arabo dovrebbe cambiare attitudine verso la religione, l'identità di gruppo, la tradizione, quegli elementi che impediscono a una società di diventare progressista. La sinistra deve capire che sono cose che interessano a molte persone e deve trovare un modo di viverci invece di opporsi. Tanto più in una regione ricchissima di fedi ed etnie, dove vivono ezidi, drusi, maroniti... se non si comprende la fabbrica sociale, ogni analisi su cosa significhi rivoluzione sarà superficiale.
Estratto da un'intervista allo storico israeliano Ilan Pappé, di Chiara Cruciati, "Il neosionismo è destinato a fallire", su Il Manifesto, inserto "Tremenda vendetta", p. VI.