Action Figure: corpi in packaging, identità in vetrina
- Michelle Grillo
- 11 apr
- Tempo di lettura: 3 min
Il trend social degli ultimi giorni consiste nella rappresentazione di sé sotto forma di action figure: corpi sintetici, simulazioni iperrealistiche di noi stessi divenuti oggetti da consumare, prigionieri in un packaging. Il trend fa seguito al precedente successo della rielaborazione della nostra immagine secondo l’estetica dello studio Ghibli e si inserisce nel nostro presente ipermediato, in cui l’identità individuale sembra aver abbandonato ogni pretesa di stabilità o interiorità per farsi immagine, superficie e codice. La loro diffusione, il gusto di vedere noi stessi sotto forma di merce, si colloca in un contesto di piacere e desiderio profondo di rappresentazione del sé. Per comprendere questo mutamento, è utile collocare il fenomeno delle action figure nel quadro teorico offerto da Vanni Codeluppi, con il concetto di vetrinizzazione sociale, e da Zygmunt Bauman, con la sua lettura della modernità liquida e della mercificazione dell’identità.

Nel paradigma della vetrinizzazione sociale delineato da Vanni Codeluppi, la società contemporanea assume una configurazione spettacolare: gli individui non vivono più soltanto per sé, ma per l’immagine che riescono a proiettare pubblicamente. Ogni soggetto è chiamato a esporre se stesso come un oggetto visibile, estetizzato, potenzialmente desiderabile. In questa logica, il corpo diventa una vetrina simbolica, uno spazio di rappresentazione attraverso cui ottenere attenzione, validazione, status. Le action figure create tramite AI si collocano esattamente in questa traiettoria culturale: non sono meri strumenti di intrattenimento, ma veri e propri dispositivi di visibilità. Sono modelli identitari prodotti e riprodotti per esistere esclusivamente nello spazio della rappresentazione. Non vivono nel mondo, ma nel feed; non partecipano all’esperienza, ma alla messa in scena dell’apparenza. Esse incarnano una nuova forma di “sé visibile” – un sé che non ha bisogno di un fondamento corporeo, ma solo di coerenza estetica e impatto visivo. E proprio come le vetrine dei negozi non vendono solo oggetti, ma desideri, così queste figure digitali non mostrano solo corpi: mostrano immaginari da consumare e replicare. La vetrinizzazione, in questa fase evolutiva, non è più limitata agli individui reali: viene estesa a entità post-umane, configurazioni sintetiche del corpo, dotate di forte carica simbolica e comunicativa. L’identità si frantuma in una serie infinita di varianti visive, ciascuna pronta a essere selezionata ed esibita.
Nella prospettiva dell’identità liquida di Bauman, intesa non più come una struttura solida da scoprire o difendere, ma come un progetto aperto, fragile, costruito attraverso atti di consumo, esposizione e performance, le action figure rappresentano una svolta radicale nella produzione del sé. Non più soltanto abiti da scegliere, foto da postare, filtri da applicare, ma corpi interamente generati per comunicare identità fluide. Il soggetto digitale non abita più un corpo fisico, ma uno spazio visivo. E in questo spazio, ogni identità è un oggetto di consumo: deve essere attraente, riconoscibile, differenziabile, funzionale alla logica del mercato simbolico. Bauman ci ricorda che nella società dei consumatori non si consuma solo ciò che si ha, ma anche – e soprattutto – ciò che si è. Il soggetto è chiamato a trasformarsi continuamente in merce, a vendere se stesso nella vetrina sociale. Le action figure spingono questa logica all’estremo, creando una soggettività priva di interiorità, interamente costruita per essere mostrata e apprezzata.
Un elemento cruciale di questa trasformazione è il ruolo dell’algoritmo. Le action figure non sono solo frutto di creatività umana, ma prodotte attraverso modelli di intelligenza artificiale che apprendono, selezionano, ricombinano pattern visivi in base a dati, tendenze e criteri di engagement. Questo significa che l’estetica stessa del corpo digitale non è più una scelta libera, ma il risultato di un processo algoritmico di ottimizzazione del desiderio. Il corpo che funziona nel feed – quello che genera più like, più interazioni, più visibilità – è anche quello che tende a standardizzarsi, a convergere verso forme codificate: simmetrie perfette, giovinezza, pelle liscia, sguardi intenzionali. Il corpo digitale diventa un oggetto plasmabile, sì, ma entro coordinate sempre più definite da dinamiche economiche e tecniche. In questo senso, la creazione di action figure non è solo un atto creativo: è anche una forma di disciplina simbolica, una riorganizzazione del desiderio secondo le logiche del capitale visivo.
In questo processo qualcosa si perde: la complessità, la contraddizione, l’opacità del reale. Le action figure non sbagliano, non invecchiano, non soffrono. Sono corpi senza storia, senza vulnerabilità, senza margini di errore. Sono icone perfette di un desiderio che non si realizza mai, ma che proprio per questo continua ad alimentarsi all’infinito.
Bibliografia
Bolter J. D.; GRUSIN R. (2003), Remediation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi, Guerini e Associati, Milano (ed. or.: Remediation: Understanding New Media, Mit Press, MA 2000)
Codeluppi, V. (2007). La vetrinizzazione sociale. Il processo di spettacolarizzazione degli individui e della società (pp. 1-109). Bollati Boringhieri.
Codeluppi, V. (2019). Mi metto in vetrina: Selfie, Facebook, Apple, Hello Kitty Renzi e altre" vetrinizzazioni". Mimesis.
Bauman, Z. (2012). Modernità liquida. Gius. Laterza & Figli Spa.
Bauman, Z. (2011). Consumo, dunque sono. Gius. Laterza & Figli Spa.