25 aprile – Resistenza è Esistenza
- Ilenia D’Alessandro
- 1 giorno fa
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Il 25 aprile non è una commemorazione. È una dichiarazione di parte. È il giorno in cui l’Italia scelse la disobbedienza, il coraggio, la dignità. Non una festa che consola ma una memoria che brucia. Brucia perché è viva, perché non è affatto finita.

Nel 1945, in quel giorno, il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia proclamava l’insurrezione generale contro l’occupazione nazifascista. Milano si liberava, Torino pure, Genova si sollevava. Non grazie agli “Alleati” ma grazie ai partigiani e alle partigiane. Persone che avevano scelto di resistere. Eresia pura, pazzia, in un paese abituato da vent’anni a chinare il capo.
La Resistenza non fu solo un episodio militare. Fu una scelta civile e politica. Fu la risposta morale di chi disse no alla guerra, alla persecuzione, all’obbedienza cieca e, soprattutto, fu una lotta europea. Mentre l’Italia si liberava dal fascismo, Parigi aveva già cacciato i nazisti. I Paesi Bassi lottavano strada per strada. In Jugoslavia Tito liberava Belgrado, senza neanche un solo soldato americano. In Grecia, la Resistenza si era organizzata già dal 1941 e in Germania collassava l’orrore nazista sotto il peso delle sue stesse menzogne.

Il 25 aprile, quindi, è parte di una frattura continentale: la fine del fascismo in Europa. Non ovunque e non per sempre, però: in Spagna e in Portogallo, purtroppo, i regimi autoritari sopravvissero fino agli anni Settanta. Ma il seme era piantato. La libertà non era più un privilegio: era un diritto da conquistare.
In Italia, la Resistenza fu popolare, plurale, imperfetta. Comuniste, cattolici, azioniste, anarchici, liberali, renitenti alla leva, operaie, contadini, studenti e studentesse. Le donne, in particolare. Tantissime. Oltre 35.000 attive, 70.000 organizzate nei Gruppi di Difesa della Donna, 463 decorate al valor militare, migliaia arrestate, deportate, uccise. Irma Bandiera, torturata con gli occhi cavati, non parlò. Tina Anselmi, giovanissima staffetta, scelse le armi prima della politica. Le donne non furono “supporto”: furono resistenza in carne e ossa. Senza di loro, la Liberazione non ci sarebbe stata. Non basta ricordarle. Bisogna onorarle con coerenza.

Eppure, ancora oggi, c’è chi vorrebbe “normalizzare” il 25 aprile. Chi lo chiama “festa divisiva”. Come se la libertà potesse essere neutrale. No. Il 25 aprile divide, sì, ma solo chi ha resistito da coloro che hanno collaborato. Tra chi ha combattuto e chi si è nascosto. Tra chi crede che la libertà sia una conquista collettiva e chi la considera una concessione da gestire in silenzio.
E c’è di più. Se il 25 aprile è un’eredità europea, oggi deve essere anche una lente con cui guardiamo il mondo. Perché la Resistenza non appartiene al passato: è un principio. E i principi o si applicano o si perdono.
Per questo, ricordare la Resistenza significa anche guardare oggi ai popoli che resistono all’oppressione. Non possiamo parlare del 25 aprile ignorando la tragedia della Palestina, che da decenni vive sotto occupazione, colonizzazione e apartheid. La storia non si ripete mai identica, ma le dinamiche dell’ingiustizia si assomigliano: occupazioni, bombardamenti, punizioni collettive, negazione dei diritti fondamentali. Quando un popolo è costretto a scegliere tra l’umiliazione e la lotta, resistere diventa un dovere, diventa sopravvivenza. La Resistenza è l’unica via per l’Esistenza. Perciò non si può celebrare la Resistenza italiana e allo stesso tempo criminalizzare ogni forma di resistenza altrove. La coerenza è scomoda ma necessaria.

Il 25 aprile, allora, è oggi. È nelle scuole occupate da studenti e studentesse che vogliono un futuro equo. Nei corpi delle donne che rifiutano la violenza e l’oppressione. Nelle voci della classe operaia sfruttata che si organizza. Nelle rotte delle persone migranti che scappano dalle guerre e dalla fame. È nei volti di chi non ha scelta, eppure esiste perché resiste. Ogni volta che qualcuno dice no alla paura, al ricatto, all’indifferenza, la Resistenza vive.
La libertà non si eredita: si conquista, si difende, si rinnova. A volte con le parole, a volte con il coraggio, a volte, ancora, con il sangue.
Il 25 aprile non è finito. È per chi sa ancora indignarsi. Per chi si alza in piedi quando tutti tacciono. Per chi crede che la libertà sia più importante del consenso, dell’equidistanza e della moderazione.
Viva il 25 aprile. Viva la Resistenza. Viva chi resiste, ovunque, comunque.