Titolo tratto dalla poesia di Fabio Valerio, che ringraziamo.
Auguri alle lavoratrici e ai lavoratori, e anche agli evasori.
Un euro l’ora nella piana di Livorno, ma forse in quella di Foggia e di Ragusa è anche peggio. Due euro l’ora negli opifici del Vallo di Diano. Tre euro l’ora nelle aziende agricole della Piana del Sele, poi però c’è il trasporto ed eventualmente l’alloggio, senza andare troppo in bagno altrimenti prendiamo altre persone che non perdono tempo. Un cameriere prende circa 40 euro a serata al Sud, senza contratto; se sa fare anche lo chef all’occorrenza è meglio, sempre deve lavorare cessi e pavimenti. Al Nord un bilocale vale circa 400 euro al mese senza contratto, e ti fanno un favore, a fronte del quale non devi avanzare nessuna richiesta; con una locazione regolare trovi un monolocale sotto il livello della del piano stradale a 650 euro, ma fuori dal centro. Un insegnante in un istituto privato al Sud non deve pretendere stipendio, gli riconoscono il punteggio e va bene così; un archeologo al Nord non deve chiedere operai, le evidenze archeologiche all’occorrenza se le scava da solo, a 10/11 euro l’ora. La signora delle pulizie prendere circa 10 euro l’ora, ma vuole venire tre volte a settimana, altrimenti non ne vale la pena; nessuno pulisce le scale del condominio, né puoi pagare qualcuno che lo faccia per te, perché poi se si fa male non c’è copertura assicurativa. Il gommista ti frega gli pneumatici che lui stesso ti ha venduto; al cambio stagionale lo spieghi che quelli non sono i tuoi e ti offende: ci ha guadagnato due volte e tu impazzisci a cercare le prove che non troverai mai. L’idraulico va e viene va e viene per riparare una piccola perdita a fronte della quale ti presenta il doppio pagamento: con o senza fattura. Idem il medico al Sud, al Nord non ti fa pagare la marca da bollo però. La lavatrice? Non conviene aggiustarla, conviene comprarla nuova e io non mi sento molto bene.
L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, degli altri però.
Proletari di tutto il mondo unitevi.
Una giornata di lavoro, che durava 12/15 ore, operai in concorrenza con le macchine, salari di pura sopravvivenza, il licenziamento, cioè la peggior disgrazia che possa capitare all’operaio, i luoghi di lavoro insalubri, le deformazioni fisiche e le malattie provocate dal lavoro, le abitazioni miserabili, l’alimentazione consistente quasi esclusivamente in patate: Karl Marx, prima di averne diretta esperienza in Inghilterra, conobbe la situazione della classe operaia inglese attraverso la testimonianza dell’amico Friedrich Engels, che a Manchester aveva visto come lavoravano e dove vivevano gli operai. Da tempo erano state smantellate le garanzie giuridiche che difendevano i lavoratori del sistema corporativo, né lo Stato aveva preso provvedimenti a tutela del lavoro operaio. Le proteste operaie non tardarono a farsi sentire in forma violenta. Le proteste consistevano addirittura nella distruzione delle macchine, ritenute responsabili della disoccupazione e dello sfruttamento degli operai.
Questo è il contesto in cui Marx si è posto il problema della condizione della classe operaia, cercando di individuare la specificità di tale questione in quell’orizzonte storico e di fornire alla classe operaia una prospettiva “scientifica” di lotta e di emancipazione.
La storia, come afferma Marx, è storia di lotte di classi (liberi e schiavi, patrizi e plebei, signori e servi della gleba). Lo sviluppo dell’attività produttiva e della divisione del lavoro portò all’affermazione di diverse forme di organizzazione sociale, in cui, nelle diverse epoche storiche, la classe dominante ebbe la proprietà dei mezzi di produzione e oppresse le altre classi. In particolare l’Età contemporanea vide la lotta tra borghesia e proletariato. La borghesia svolse un ruolo rivoluzionario nella storia, ma produsse i suoi “seppellitori”, cioè gli operai moderni, i proletari.
Viviamo in una società capitalistica, ha affermato Marx. Il capitalismo viene descritto dal filosofo come un modello di società che si è fondato, per la prima volta nella storia, sull’esigenza di un rivoluzionamento continuo dei processi materiali di produzione, su un’accentuata mobilità e su un incessante dinamismo. Il dominio del capitale ha creato gli operai, ovvero i proletari. Essi, afferma Marx, vivevano solo fino a quando trovavano lavoro e trovavano lavoro fino a quando il loro lavoro aumentava il capitale. Nelle fabbriche masse di operai vennero organizzate militarmente, legate alle macchine, trasformate in loro accessori. Lo sfruttamento degli operai crebbe continuamente, così come aumentarono i contraccolpi delle crisi, i licenziamenti che li buttarono sul lastrico. Il numero dei capitalisti era decisamente inferiore a quello dei proletari. Quest’ultimi giunti alla consapevolezza che potevano essere protagonisti di una svolta decisero di cambiare un po’ le cose facendosi sentire attraverso violente proteste. Si ribellarono. Fu una ribellione che scrisse la storia e che riuscì finalmente a emancipare tanti operai dell’epoca e a riavere una dignità e una vita da vivere.
Oggi, rileggendo alcuni passi del Manifesto del Partito comunista (che ho cercato di riportare in modo “sintetico” e senza riportare i fatti storici in particolare) del grande filosofo, politico ed economista Karl Marx, possiamo dire di aver raggiunto quel tipo di emancipazione? Possiamo ancora festeggiare questo giorno?
Intanto vi auguro a tutti Buon 1° Maggio, buona Festa dei lavoratori.
Insegno nelle scuole italiane da dieci anni e in questo lasso di tempo ho modificato, affinato, a volte stravolto il mio modo di relazionarmi agli studenti, mentre ho lasciato intatto il mio modo di avvicinarmi ai fatti storici e di cronaca: ne cerco – e spingo gli studenti a cercarne – i connotati secondo il classico metodo delle cinque W (what, cosa; when, quando; where, dove; who, chi; why, perché) a cui amo aggiungere una H, che sta a significare How, il come.
E come ogni anni, in ogni classe in cui entro, in prossimità delle feste nazionali di primavera, chiedo soprattutto il perché di quei giorni segnati in rosso sul calendario, smettendo ormai di stupirmi della mancata conoscenza dei fatti e cercando invece di far sì che aumenti la consapevolezza di essi.
Nel caso del Primo Maggio, inizio scrivendo sulla lavagna il nome di Haymarket, per poi chiedere agli studenti se il nome gli suoni familiare; senza perdermi d’animo, chiedo loro di digitare sui propri cellulari il nome scritto sulla lavagna, per poi far partire il lavoro di ricerca vero e proprio, esplicitando le richieste e concludendo poi il lavoro con un dibattito.
Spesso mi chiedo il perché di questo mio ostinarmi ad agire in questo modo e a volte mi rispondo che lo faccio per egoismo, per soddisfare un mio bisogno, piuttosto che quello delle classi, ma non importa: se anche a un solo alunno per classe in corrispondenza del Primo Maggio torna in mente che non si va a scuola e a lavorare non per poter assistere a un concerto, ma perché ricordiamo i fatti sanguinosi del 1 maggio 1886, quando alcuni lavoratori che protestavano per ottenere le otto ore di lavoro e alcuni poliziotti persero la vita ad Haymarket, presso Chicago, vorrà dire che il mio egoismo avrà dato dei frutti. Da allora, o meglio dal 1889, festeggiamo o forse sarebbe meglio dire “manifestiamo” perché i lavoratori abbiano diritto a un orario definito, a turni di riposo, a un contratto e un salario e tante altre tutele.
Con una pausa.
Una pausa durata in Italia dal 1923 al 1947, perché durante il fascismo questa ricorrenza venne trasformata in altro, venne sospesa e fatta confluire in una festività meno problematica per il regime, ovvero quella del 21 Aprile, mitologico Natale di Roma, giorno della sua fondazione nel 753 a.C.
E il perché di questa scelta appare chiarissimo: come poteva un regime che aumentava le ore di lavoro (a parità di salario) e reprimeva nel sangue gli scioperi, tollerare una festività che commemorava persone morte chiedendo una riduzione della giornata lavorativa?
Questo mi dà poi la possibilità di agganciarmi ad altre tematiche, come appunto il ventennio e il tema dello sfruttamento del lavoro, in particolar modo quello minorile, perché la ricerca di senso ha, tra i tanti, questo pregio: si presta a tante connessioni fruttuose e porta a nuova conoscenza, in un eterno circolo virtuoso.
Il principio fondante della nostra Costituzione che proclama l'Italia come una Repubblica democratica "fondata sul lavoro" spesso sembra tradito dalla realtà attuale, dove la condizione lavorativa è caratterizzata da precarietà e ingiustizia. Le lotte storiche per ridurre la giornata lavorativa a 8 ore oggi sembrano un lontano miraggio, evidenziando quanto poco abbiamo imparato dalla storia.
La mancanza di attenzione e impegno concreto da parte della classe politica nei confronti del lavoro è esacerbata dalla retorica propagandistica che spesso prende il posto delle azioni efficaci. Laddove si parla di lavoro per i giovani, la realtà è che molte persone di altre fasce d'età continuano a lottare per avere opportunità occupazionali adeguate alle loro competenze e esperienze.
È ingiusto escludere dal diritto al lavoro coloro che non sono più giovani ma hanno contribuito alla società per anni, spesso senza alcuna garanzia di sicurezza economica. Queste persone non hanno atteso passivamente offerte di lavoro, ma hanno lavorato instancabilmente, spesso in settori difficili o sfortunati, con grande impegno e dedizione.
La precarietà lavorativa non solo genera ansia e insicurezza per la sopravvivenza, ma anche una disumanizzazione dell'individuo che non riesce più a identificarsi con ciò che fa a causa delle limitazioni imposte dalla mancanza di opportunità e sicurezza occupazionale.
Il diritto al lavoro dovrebbe essere garantito a tutte le persone indipendentemente dall'età e dalle circostanze, riconoscendo il valore e le competenze accumulate nel corso degli anni. La dignità umana è legata alla possibilità di svolgere un lavoro significativo e gratificante, e la società deve impegnarsi per creare un ambiente in cui questo diritto sia effettivamente rispettato e realizzato.
Lavoro anche oggi,
niente ghirigori.
Non come te che sfoggi
diamanti, auto e ori.
Sudo,
corro,
aspetto.
Scontrini,
resti,
biglietto.
Arranco,
traffico,
benzina.
Clienti
sempre
esigenti,
anche
di prima
mattina.
Al centro commerciale, commesso,
oggi mi sono anche commosso
quando il direttore ha chiamato
per dirmi che son stato licenziato.
Così da domani festeggio
ogni giorno con un volteggio
e a te che ritorni al traccheggio
ti auguro un buon primo maggio.
Estratto da "Il Profeta" di K. Gibran
Io vi dico che quando lavorate compite una parte del sogno più avanzato della terra, che fu assegnata a voi quando quel sogno nacque.
E che sostenendo voi stessi col lavoro amate in verità la vita,
E che amare la vita nel lavoro è vivere intimamente con il più intimo segreto della vita...
Cosa significa operare con amore?
È tessere la stoffa con i fili del cuore, come se anche chi amate dovesse indossarla.
È costruire una casa con affetto, come se anche chi amate dovesse abitarla.
È seminare con dolcezza e mietere il grano con gioia,
come se anche chi amate dovesse mangiarne.
È impregnare ogni cosa che plasmate con un soffio del vostro spirito.
Il lavoro è amore rivelato...